Il consulente e l’avvocato del lavoro sono due figure professionali di fondamentale importanza. In questo articolo vedremo quali sono le differenze che intercorrono fra questi due esperti in materia giuslavoristica.
L’avvocato del lavoro è un professionista che si occupa delle controversie che riguardano i dipendenti e i datori di lavoro, intervenendo in caso di licenziamenti, infortuni sul lavoro, stipendi non pagati, demansionamento dei lavoratori, mobbing, ecc.
Il consulente del lavoro invece fornisce consulenza in materia di amministrazione del personale; più nello specifico, tale figura gestisce i rapporti fra aziende e organi istituzionali, quali centri per l’impiego, sindacati e istituti di previdenza, elabora le buste paga e i contributi in base alle normative in vigore e assolve agli obblighi assicurativi e previdenziali.
Come ha affermato la giurisprudenza di legittimità, “è attività riservata al consulente iscritto all’albo, che ne risponde personalmente, quella connessa al compimento degli adempimenti relativi al personale dipendente, con ciò dovendosi intendere non ogni attività a qualsiasi titolo collegata alla stessa esistenza, in capo al cliente che si rivolge ad una struttura che svolge attività di consulenza sul lavoro, di uno o più rapporti di lavoro con dipendenti, ma l’espletamento degli adempimenti di natura fiscale o previdenziale, in cui il consulente abilitato, su delega del cliente, opera come sostituto del datore di lavoro” (Cass., sent. n. 14247/2020).
Dunque, in virtù di quanto appena enunciato, mentre quella del consulente del lavoro è un’attività di mera consulenza in ambito giuslavoristico, all’avvocato del lavoro vengono affidate tutte le controversie che sorgono fra datori e prestatori di lavoro.
Sebbene siano due figure distinte, si tratta comunque di due professioni analoghe, entrambe protette e con ambiti d’azione regolati dalla legge. L’avvocato giuslavorista può seguire tutta l’attività del consulente, tuttavia l’interazione con la pubblica amministrazione è propria del consulente del lavoro, il quale non può rappresentare il cliente in giudizio.
Dopo aver specificato quali sono le differenze fra consulente e avvocato del lavoro, è doveroso sottolineare che le due professioni sono assolutamente compatibili.
Difatti, la legge ammette la contemporanea iscrizione all’albo dei consulenti e degli avvocati del lavoro.
Del resto, secondo l’art. 1 della Legge n. 12 del 1979, “Tutti gli adempimenti in materia di lavoro, previdenza ed assistenza sociale dei lavoratori dipendenti, quando non sono curati dal datore di lavoro, direttamente od a mezzo di propri dipendenti, non possono essere assunti se non da coloro che siano iscritti nell’albo dei consulenti del lavoro a norma dell’articolo 9 della presente legge, salvo il disposto del successivo articolo 40, nonché da coloro che siano iscritti negli albi degli avvocati e procuratori legali, dei dottori commercialisti, dei ragionieri e periti commerciali, i quali in tal caso sono tenuti a darne comunicazione agli ispettorati del lavoro delle province nel cui ambito territoriale intendono svolgere gli adempimenti di cui sopra”.
I motivi di incompatibilità sanciti dall’art. 3 del R.D.L. n. 1578/1933 per l’esercizio della professione di avvocato sono tassativi, pertanto, qualora una determinata attività non sia dichiarata espressamente incompatibile con la professione forense e la stessa non leda i principi in materia di decoro della professione stessa, tale attività può essere liberamente esercitata dall’avvocato senza che quest’ultimo incorra in alcuna situazione di incompatibilità.
L’attività di consulente del lavoro non rientra fra quelle indicate dalla predetta norma, le quali determinano una situazione di incompatibilità con l’esercizio della professione forense, né si può ritenere che l’attività di consulente del lavoro possa in qualche modo violare il decoro di quella che è la professione dell’avvocato.