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Contratto a progetto e jobs act

A partire dal 1 gennaio 2016, con l’intervento normativo chiamato jobs act, vengono abrogate le disposizioni contenute nella legge Biagi sul contratto a progetto.
In particolare, il jobs act prevede che “ai rapporti di collaborazione che si concretano in prestazioni di lavoro esclusivamente personali, continuative e le cui modalità di esecuzione sono organizzate dal committente anche con riferimento ai tempi e al luogo di lavoro” troveranno applicazione le disposizioni sul contratto di lavoro subordinato.
Ciò significa, in sostanza, non solo che viene rimossa la disciplina sul contratto a progetto ma altresì che il jobs act ha introdotto una presunzione di natura subordinata del rapporto per i casi di prestazioni di lavoro personale organizzate dal committente.
E’ bene precisare perchè che se è vero che il contratto a progetto viene abolito, eccezion fatta per i contratti in essere al momento dell’entrata in vigore del jobs act, è altrettanto vero che resteranno in vita le vecchie collaborazioni coordinate e continuative (le c.d. co.co.co) che potranno ora persino svolgersi anche a tempo indeterminato e, comunque, senza il necessario rispetto di determinati standard normativi e retributivi con evidente arretramento dei regimi di tutela del prestatore di lavoro.
Sulla riconduzione delle collaborazioni alla area del lavoro subordinato pesa del resto il superamento dell’articolo 18 della legge 20 maggio 1970, n. 300: non tanto e non solo in termini di tutela del singolo prestatore di lavoro ingiustamente licenziato quanto piuttosto in ragione del conseguente venir meno del valore deterrente della minaccia di conversione del rapporto di collaborazione in un contratto di lavoro subordinato. In altri termini, per le collaborazioni attivate a far data dal 7 marzo 2015 il regime sanzionatorio in caso di licenziamento ingiustificato, parametrato su due mensilità per ogni anno di servizio e non più sul regime di stabilità reale, non pare rappresentare un adeguato argine contro prassi abusive da parte dei committenti. Sarà anzi molto probabilmente lo stesso collaboratore a evitare il contenzioso per il rischio, anche in caso di vittoria giudiziale, di perdere il lavoro e la continuità di reddito garantitagli dal committente.
Vero è, peraltro, che il tentativo di ricondurre le collaborazioni organizzate dal committente al lavoro dipendente, oltre a basarsi su elementi discretivi di dubbia efficacia (con riferimento ai tempi e luoghi di lavoro che potranno essere agevolmente affidati dal committente al prestatore di lavoro), è fortemente stemperato da rilevanti deroghe introdotte dall’articolo 2, comma 2, del decreto in commento, con riferimento: 1) a casistiche disciplinate dalla contrattazione collettiva nazionale in ragione delle particolari esigenze produttive ed organizzative del settore che ben potranno individuare come modello di riferimento anche la disciplina di tutela del lavoro a progetto ora abrogata; 2) alle collaborazioni prestate nell’esercizio di professioni intellettuali per le quali è necessaria l’iscrizione in appositi albi professionali; 3) alle attività prestate nell’esercizio della loro funzione dai componenti degli organi di amministrazione e controllo delle società e dai partecipanti a collegi e commissioni; alle collaborazioni rese a fini istituzionali in favore delle associazioni e società sportive dilettantistiche affiliate alle federazioni sportive nazionali, alle discipline sportive associate e agli enti di promozione sportiva riconosciuti dal C.O.N.I. (art. 90 legge n. 289/2002); 4) alle collaborazioni nella Pubblica Amministrazione, in attesa della relativa riforma, fermo restando il divieto di un loro utilizzo a far data dal 1° gennaio 2017.
Non solo. La presunzione (relativa, non certo assoluta) di subordinazione di cui all’articolo 2, comma 1, del decreto in commento, già ampiamente attenuata dal regime delle deroghe e dalla persistente vigenza dell’articolo 409, n. 3, del Codice di Procedura Civile, può essere neutralizzata anche nell’ambito delle procedure di certificazione dei contratti di lavoro di cui all’articolo 76 del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276 (art. 2, comma 3) volte ad accertare l’insussistenza dei parametri di etero-organizzazione del lavoro fissati dal Legislatore.

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