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Lo spaccio di stupefacenti fuori dall’azienda ed il licenziamento

La Suprema Corte ha sancito che, anche una condotta illecita, estranea all’esercizio delle mansioni del lavoratore subordinato, quale lo spaccio di sostanze stupefacenti al di fuori dell’azienda, può avere un rilievo disciplinare poiché il lavoratore è assoggettato non solo all’obbligo di rendere la prestazione, bensì anche all’obbligazione accessoria di tenere un comportamento extralavorativo che sia tale da non ledere né gli interessi morali e patrimoniali del datore di lavoro né la fiducia che, in diversa misura e in diversa forma, lega le parti del rapporto di durata.

Detta condotta illecita comporta la sanzione espulsiva del licenziamento se presenti caratteri di gravità, che debbono essere apprezzati, tra l’altro, in relazione alla natura dell’attività svolta dall’impresa datrice di lavoro ed all’attività in cui s’inserisce la prestazione resa dal lavoratore subordinato (Cass. Sez. Lav. 776/2015).

Gli artt. 2104 e 2105 cod. civ., richiamati dalla disposizione dell’art. 2106 relativa alle sanzioni disciplinari, non vanno infatti interpretati restrittivamente e non escludono che il dovere di diligenza del lavoratore subordinato si riferisca anche ai vari doveri strumentali e complementari che concorrono a qualificare il rapporto obbligatorio di durata, e si estenda a comportamenti che per la loro natura e per le loro conseguenze appaiano in contrasto con i doveri connessi all’inserimento del lavoratore nella struttura e nell’organizzazione dell’impresa o creino situazioni di conflitto con le finalità e gli interessi della stessa (Cass. 3822/2011, 2550/2015).

La detenzione, in ambito extralavorativo, di un significativo quantitativo di sostanze stupefacenti a fine di spaccio è idonea ad integrare la giusta causa di licenziamento, poiché il lavoratore è tenuto non solo a fornire la prestazione richiesta ma anche a non porre in essere, fuori dall’ambito lavorativo, comportamenti tali da ledere gli interessi morali e materiali del datore di lavoro o da comprometterne il rapporto fiduciario.

Posti tali principi in via generale, spetta poi al giudice di merito apprezzare se e in che misura tale condotta extralavorativa abbia leso il vincolo fiduciario tra le parti del rapporto di lavoro: sulla base di tale valutazione il giudice ha affermato che la perdita della fiducia del datore di lavoro era stata collegata al notevole quantitativo di droga trovato in possesso del lavoratore, che, in ragione del suo valore di mercato, induceva a ritenere sia l’abitualità dell’attività delittuosa sia l’incompatibilità con i suoi redditi da lavoro dipendente, e quindi rendeva concreto il pericolo che il lavoratore potesse commettere reati della stessa natura anche all’interno del luogo di lavoro.

Cass. Sez. Lav. n. 4633 del 9 marzo 2016

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