Natura subordinata del rapporto – Mansioni semplici – Espletamento del potere direttivo in via non continuativa – Potere disciplinare limitato – Negazione del vincolo di subordinazione – Irrilevanza nel caso di prestazioni standardizzate
La giurisprudenza della Corte di Cassazione esprime un consolidato orientamento in tema di poteri riconosciuti al giudice del merito nella qualificazione del rapporto: si afferma che l’esistenza del vincolo di subordinazione va concretamente apprezzata con riguardo alla specificità dell’incarico conferito dal lavoratore e al modo della sua attuazione, fermo restando che ogni attività umana economicamente rilevante può essere oggetto di un rapporto di lavoro sia autonomo sia subordinato.
In sede di legittimità quello che è censurabile è unicamente la determinazione dei criteri generali e astratti da applicare al caso concreto, mentre costituisce accertamento di fatto, incensurabile in tale sede se sorretta da motivazione adeguata e immune da vizi logici e giuridici, la valutazione delle risultanze processuali che hanno indotto il giudice ad includere il rapporto controverso nell’uno o nell’altro schema contrattuale (Tra le numerose decisioni si vedano Cass. n. 224/2001; Cass. n. 16697/2002; Cass. n. 9251/2010).
Viene tuttavia altresì precisato in tali pronunzie che, nei casi in cui la distinzione tra lavoro autonomo e subordinato (natura subordinata del rapporto) è di più complessa enucleazione in relazione al tipo di incarico conferito al lavoratore e al contesto in cui è svolta la prestazione, è legittimo ricorrere ad indicatori sussidiari, quali la presenza della pur minima organizzazione imprenditoriale ovvero l’incidenza del rischio economico, l’osservanza di un orario, la forma di retribuzione, la continuità della prestazione.
E’ stata, di conseguenza, enucleata la regula juris, alla quale s’intende dare continuità, secondo la quale, sia nel caso in cui le mansioni inerenti alla prestazione siano elementari, ripetitive, e predeterminate nelle modalità di esecuzione, sia in quello opposto, in cui le stesse mansioni, per lo più intellettuali, siano tali da essere dotate di notevole elevatezza e/o creatività, il criterio rappresentato dall’assoggettamento del prestatore all’esercizio del potere direttivo, organizzativo e disciplinare può non risultare significativo per la qualificazione della natura del rapporto, occorrendo in tal caso far ricorso a criteri distintivi sussidiari quali la continuità e durata dello stesso, le modalità di erogazione del compenso, la regolamentazione dell’orario, la presenza di una pur minima organizzazione imprenditoriale e la sussistenza di un reale potere di autorganizzazione in capo al prestatore (in merito a ipotesi analoghe a quella in esame si vedano Cass. n. 20367/2014 e Cass. n. 12330/2016).
Con sentenza n. 23846 dell’11 ottobre 2017, la Corte di Cassazione pertanto, ha affermato, riferendosi ad un rapporto stipulato come autonomo, che la caratteristica della dipendenza e, quindi, della subordinazione, può essere desunta dal giudice di merito anche attraverso elementi come il rispetto di un orario di lavoro ed un compenso comunque garantito, non legato al risultato senza la presenza di alcun rischio economico. Il mancato esercizio del potere disciplinare, quindi, è stato ritenuto dalla Suprema Corte irrilevante ai fini della determinazione della natura subordinata del rapporto.