Risarcimento Licenziamento Ingiusto tramite Avvocato del Lavoro
Il licenziamento è un atto con il quale un datore di lavoro interrompe unilateralmente il rapporto con il proprio dipendente, a partire dal momento in cui la comunicazione arriva a conoscenza del diretto interessato.
Nei confronti del lavoratore dipendente, in assenza di un giustificato motivo o di una giusta causa atte a fondare l’iniziativa, si parla di “licenziamento ingiusto” e il legislatore prevede a favore del soggetto debole del rapporto la possibilità di agire in difesa dei propri diritti.
Per ottenere il riconoscimento dei propri diritti, il lavoratore dipendente deve in primo luogo affrontare un procedimento di conciliazione propedeutico al giudizio vero e proprio.
Esso si svolge di fronte alla direzione provinciale del lavoro, alla quale il provvedimento di licenziamento dovrà essere prontamente comunicato dal titolare dell’azienda.
Si tratta di un passaggio obbligato che mira a comporre la controversia prima che essa giunga di fronte al giudice, con il duplice scopo di fornire una immediata e veloce tutela al lavoratore ed evitare l’inutile ingorgo delle aule di tribunale.
Se le parti non accettano la proposta di conciliazione, si procede di fronte al giudice del lavoro.
Il giudizio, che richiede l’assistenza di un avvocato in diritto del lavoro, si svolge secondo regole procedurali particolari, differenti da quelle ordinarie.
Tra le più vistose eccezioni alla normale procedura, vi è ad esempio l’inversione dell’onere della prova: spetta al datore di lavoro dimostrare la fondatezza del licenziamento, mentre al lavoratore è richiesta la dimostrazione di un sussistente rapporto di lavoro dipendente.
Sul processo ha inciso fortemente la riforma Fornero che, con la L.92/2012, ha modificato lo Statuto dei Lavoratori.
In particolare si deve oggi distinguere tra le differenti ipotesi di licenziamento ingiustificato.
Se si tratta di licenziamento discriminatorio, ovvero motivato da ragioni inerenti il sesso, la razza, la religione o le convinzioni politiche, il giudice dispone la reintegrazione del ricorrente e può determinare un risarcimento, indipendentemente dalle dimensioni dell’azienda.
Se il licenziamento è giudicato illegittimo perché i fatti sui quali si fonda non corrispondono al vero o non potevano essere sanzionati con un simile provvedimento, la reintegrazione nel posto di lavoro può essere comminata se l’azienda occupa un numero di lavoratori superiore 15 (5 in caso di impresa agricola).
Contemporaneamente il giudice può riconoscere al lavoratore un risarcimento di ammontare variabile fino ad un massimo di 12 mensilità.
Qualora il datore di lavoro abbia giustificato il licenziamento con motivazioni “oggettive” o legate alle condizioni economiche dell’azienda e il giudice ritenga le stesse non sussistenti, giudicando illegittima l’interruzione del rapporto, pur non potendo prescrivere il reintegro del lavoratore (che comunque può avvenire, a scelta dell’azienda), potrà essere previsto un risarcimento pecuniario fino ad un massimo di 24 mensilità.