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Prima sentenza di merito dopo la bocciatura del Jobs Act da parte della Corte Costituzionale

In questo articolo analizziamo la prima sentenza di un giudice di merito (tribunale di Bari) che lo scorso 11 ottobre 2018 (sentenza n. 43328), ovvero dopo poche ore la diramazione del comunicato relativo alla pronuncia di incostituzionalità della corte, ha disapplicato il rigido criterio del risarcimento del danno previsto per l’illegittimo licenziamento nel contratto di lavoro a tutele crescenti introdotto dal jobs act.
Oggetto della vicenda era il licenziamento di un lavoratore nell’ambito di una procedura di mobilità (licenziamento collettivo).
Non si ritiene soffermarsi, in questa sede, sui dettagli della vicenda. Basti ricordare che trattavasi di un licenziamento chiaramente ingiustificato e di un’impresa di grandi dimensioni.
Ebbene il 26 settembre 2018, come molti sanno, la corte costituzionale ha diramato il seguente comunicato: La corte costituzionale ha dichiarato illegittimo l’art. 3, comma 1, del decreto legislativo 23/15 sul contratto di lavoro a tempo indeterminato a tutele crescenti, nella parte – non modificata dal decreto dignità – che determina in modo rigido l’indennità spettante al lavoratore ingiustificatamente licenziato. In particolare, la previsione di un’indennità crescente in ragione della sola anzianità di servizio del lavoratore è, secondo la corte, contraria ai principi di ragionevolezza e di uguaglianza e contrasta con il diritto e la tutela del lavoro sanciti dagli articoli 4 e 35 della costituzione.
In anticipo rispetto alla pubblicazione delle motivazioni della sentenza della corte, il Tribunale di Bari, consapevole di precorrere i tempi, ha applicato le poche righe del comunicato.
Invocando la necessità di una applicazione costituzionalmente orientata il Giudice ha posto a base della valutazione accanto alla ridotta anzianità anche il comportamento dell’impresa (e, nel caso in esame, sembrava illegittimo) nonché le dimensioni dell’attività economica e i livelli occupazionali.
Il giudice ha mutuato i menzionati parametri da combinato disposto dei commi 5 e 7 dell’art. 18, Stat. Lav., ovvero le norme applicabili ai vecchi assunti in caso di licenziamento collettivo viziato sotto il profilo procedurale.
Attributo un differente peso ai diversi criteri, applicati in concorso tra loro, il giudice si è scostato dal rigido sistema di due mensilità per ogni anno di servizio previsto per il licenziamento del lavoratore con contratto a tutele crescenti (jobs act) e a considerato congruo un risarcimento di dodici mensilità (con un rapporto durato circa un anno e mezzo).
Parte insomma chiaro che ormai i giudici torneranno ad avere ampia discrezionalità nell’individuazione del valore del risarcimento del danno in caso di licenziamento illegittimo del lavoratore nel contratto a tutele crescenti.

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