Prima della L. 92/2012 – Legge Fornero – era controverso se la posizione contributiva del lavoratore illegittimamente licenziato andasse regolarizzata da parte del datore di lavoro, anche se la maggioranza dei giudici optavano per la soluzione positiva.
Con l’entrata in vigore della L. 92/2012 l’art 18 St. Lav. disciplina espressamente la questione.
La norma sancisce che il giudice, accertata la illegittimità del licenziamento, oltre a ordinare la reintegrazione del lavoratore illegittimamente licenziato, debba condannare il datore di lavoro al risarcimento del danno, corrispondendo una indennità commisurata alla retribuzione dovuta dal giorno del licenziamento a quello della effettiva reintegrazione, nonché al versamento dei contributi assistenziali e previdenziali dovuti nello stesso periodo e maggiorati degli interessi nella misura legale senza applicazione di sanzioni per omessa o ritardata contribuzione.
La riforma del 2012 ha chiarito che tale versamento deve essere effettuato per un importo pari alla differenza fra i contributi che il lavoratore avrebbe maturato nel corso del rapporto illegittimamente interrotto e quelli che gli sono stati accreditati in conseguenza dello svolgimento di altre attività lavorative.
La legge precisa altresì che, in quest’ultimo caso, se i contributi derivanti da altra attività lavorativa dovessero afferire ad un’altra gestione previdenziale, essi dovranno ugualmente essere imputati d’ufficio alla gestione corrispondente all’attività lavorativa svolta in precedenza dal lavoratore licenziato e che i costi di tale imputazione sono a carico del datore di lavoro.
Poiché sulla base dell’art 18 St. Lav. il risarcimento del danno è dovuto nella misura minima di 5 mensilità, potrebbe accadere che l’indennità menzionata sia superiore alle retribuzioni effettivamente perdute: ciò potrebbe verificarsi se il lavoratore fosse reintegrato prima della scadenza del quinto mese dalla data del licenziamento.
In tale caso il versamento dei contributi deve coprire solo il tempo effettivamente intercorrente tra il licenziamento e la reintegrazione.
La legge, invece, non disciplina la questione contributiva in ordine alla indennità, commisurata a 15 mensilità, che il lavoratore può rivendicare al posto della reintegrazione. Resta così controverso se, in questo caso, il datore di lavoro sia anche obbligato al versamento dei contributi: a tale riguardo, bisogna però segnalare che l’Inps ha emanato una circolare secondo la quale i contributi non sono dovuti, dal momento che la somma non viene corrisposta a titolo di retribuzione, avendo natura risarcitoria.
Discorso analogo viene fatto per il caso in cui, nelle aziende di minori dimensioni, alle quali non sia applicabile l’art. 18 S.L., il datore di lavoro, invece di riassumere il lavoratore illegittimamente licenziato, preferisca corrispondergli l’indennità stabilita dalla legge (da 2,5 a 6 mensilità): si è infatti sostenuto che, stante la natura risarcitoria della somma dovuta, il datore di lavoro non è tenuto al versamento contributivo.